Cheloidi o Cicatrici Cheloidee

Data pubblicazione: 19/02/2022
Dr. Tommaso Agostini


Indice

Che cosa sono i cheloidi

I cheloidi sono tumori benigni della cicatrice e derivano da un processo di cicatrizzazione patologico caratterizzato dalla produzione indefinita di fibre collagene; il cheloide rappresenta un problema estetico molto rilevante per i pazienti che ne soffrono, caratterizzato non solo da un elevato tasso di recidiva ma anche da una crescita lenta e costante nel tempo. Tendono a insorgere in pazienti d’età intermedia, risparmiando i soggetti anziani e pediatrici, con una particolare predilezione in soggetti con pelle scura. Non vi è unanime consenso sulla patogenesi, nel senso che non si conoscono esattamente le cause che danno origine a una cicatrice cheloidea. La prima descrizione di un cheloide è stata fatta già ai tempi dell’antico Egitto e fu Alibert che nel 1806 ha coniato il termine cheloide, di derivazione greca, a ricordare proprio le chele del granchio.
Il cheloide è spesso confuso con una cicatrice ipertrofica sebbene siano clinicamente e istologicamente due entità ben distinte. Infatti la cicatrice ipertrofica rimane ben confinata all’interno dei bordi della ferita iniziale, mentre il cheloide invade anche il tessuto sano circostante. La cicatrice ipertrofica insorge intono a quattro settimane dopo il trauma, tende quindi ad aumentare rapidamente per poi regredire, mentre il cheloide tende a comparire dopo 4 settimane ma si sviluppa e cresce in modo indefinito. Sebbene sia il cheloide che la cicatrice ipertrofica siano caratterizzati da un aumentato numero di fibroblasti, solo il cheloide mostra un tasso di proliferazione dei fibroblasti aumentato; inoltre nelle cicatrici cheloidee le fibre collagene sono più larghe, ondulate e senza un preciso orientamento (random), mentre nelle cicatrici ipertrofiche le fibre collagene hanno un andamento più parallelo alla superficie cutanea. Alcuni enzimi con l’alanina transaminasi e l’adenosin trifosfato sono molto più concentrati nei cheloidi rispetto alle cicatrici ipertrofiche, oltre ad avere un aumentato rapporto tra collagene di tipo 1 e di tipo 3. Sebbene la cicatrice ipertrofica si sviluppi sempre a seguito di un evento traumatico, il cheloide può svilupparsi con traumi minimi (tatuaggio o piercing) ma anche senza alcun agente traumatico, specialmente a livello del padiglione auricolare, delle spalle e della regione sternale. I cheloidi sono caratterizzati inoltre da recidiva dopo trattamento chirurgico e dalla assenza di regressione spontanea.
Le problematiche generate da cheloide non si limitano solo al lato estetico, ma sono legate anche a disturbi funzionali che consistono principalmente in dolore di tipo cronico con scarsa rispondenza alla terapia farmacologica antalgica, prurito e parestesie, tanto da limitare non solo la vita sociale dei pazienti, ma anche da interferire con i ritmi sonno-veglia.
Le differenze tra cicatrice ipertrofica e cheloidea sono evidenti anche da un punto di vista morfologico e immunoistochimico; nonostante entrambe presentino un aumento del tessuto connettivo, le fibre collagene della cicatrice ipertrofica sono più sottili, piatte, poco ondulate con andamento parallelo alla pelle mentre nel cheloide le fibre collagene sono più larghe e più vicine a formare quelle che si chiamano fibrille e con orientamento casuale rispetto alla cute. I miofibroblasti sono presenti nella cicatrice ipertrofica e assenti nel cheloide, la densità di vasi sanguigni è aumentata nella cicatrice ipertrofica e diminuita nel cheloide e il numero di cellulare totali è aumentato nell’ipertrofia rispetto al cheloide.

Rimedi ambulatoriali efficaci per i cheloidi

Il trattamento dei cheloidi è complesso tanto da richiedere un unico trattato. È necessario premettere che non esiste un unico trattamento efficace: ad esempio il trattamento chirurgico isolato ha un tasso di recidiva del 100% e ancora il trattamento compressivo da solo ha limitata efficacia. In passato si procedeva all’utilizzo del trattamento chirurgico seguito da radioterapia post operatoria, testimonianza del fatto che la cicatrice cheloidea veniva trattata esattamente come un tumore cutaneo invasivo; successivamente l’evoluzione della tecnologia ha portato a sviluppare trattamenti radioterapici sempre meno invasivi e con un target selettivo sui tessuti da trattare, deciso proprio dall’operatore, in quella che si chiama brachiterapia. Ad oggi il trattamento chirurgico d’exeresi intralesione seguito da brachiterapia rimane riservato al trattamento dei cheloidi più gravi o con elevato tasso di recidiva locale. L’efficacia del trattamento radiante risiede proprio nel danno diretto sui fibroblasti responsabili della produzione di collagene; la brachiterapia viene inizata entro 3 giorni dall’intervento chirurgico per un dosaggio totale variabile da 10 a 15 Gy
Il gold standard rimane ad oggi il trattamento combinato eseguendo l’exeresi intralesionale del cheloide seguito da ripetute iniezioni di cortisonici ad elevato dosaggio; il più efficace nonché utilizzato cortisonico è il triamcinolone acetato, che viene somministrato in dosaggio variabile tra 10 e 40 mg/ml a intervalli regolari di 4-6 settimane fino a che si ottiene l’appiattimento del cheloide. Le iniezioni devono essere necessariamente eseguite e livello della giunzione dermo epidermica in modo tale da evitare un assottigliamento irreversibile dell’epidermide superficiale. Il meccanismo d’azione è da ricercarsi nella soppressione del fattore di crescita endoteliale responsabile della vascolarizzazione del cheloide, nella funzione anti infiammatoria con conseguente riduzione della produzione di collagene e glicosamminoglicani e nell’inibizione dei fibroblasti. Il tasso di risposta al trattamento chirurgico e cortisonico combinato variano dal 50% al 100%.
Altro farmaco di indubbia efficacia è il 5 fluorouracile, classificato com e antiblastico o antitumorale, che inibisce la sintesi cellulare sia di DNA che RNA, inducendo l’apoptosi dei fibroblasti e riducendo la formazione di collagene tipi 1. Kontochristopoulos ha trattto 20 pazienti affetti da cicatrici cheloidee utilizzando un dosaggio di 5-FU di 50 mg/ml, 1 volta a settimana per 7 settimane e, valutando l’outcome a 12 mesi, ha visto che l’85% dei pazienti ha avuto una riduzione del cheloide di oltre il 50%. Nel 2009 Haurani ha condotto uno studio prospettico sull’efficacia del 5-FU dimostrando un tasso di recidiva molto basso, al di sotto del 20% ad un anno dal trattamento. Il primo a utilizzare il trattamento combinato di 5-FU e cortisonici è stato Fitzpatricknel 1999, che ha utilizzato 50mg/ml di 5-FU in combinazione di 10 mg/ml di triamcinolone o 5.7 mg/ml di besametasone ottenendo un appiattimento significativo dei cheloidi più grandi e la scomparsa completa senza recidiva dei cheloidi con un diametro inferiore a 2 cm. Quindi il trattamento combinato di cortisonici e antiblastico è superiore al solo triamcinolone (40% vs 10%) e con minori effetti collaterali legati al 5-FU (atrofia cutanea, iperpigmentazione, edema, dolore, teleangectasie).
Un altro farmaco con efficacia dimostrata è la bleomicina solfato, che riduce la sintesi di collagene e induce l’apoptosi dei fibroblasti inibendo la sintesi del DNA, dell’RNA e delle proteine. Bodokh and Brun hanno trattato 31 cheloidi mediante iniezione intralesionale di bleomicina ripetuta da un minimo di 3 volte fino a volte con risultati positivi nella totalità dei casi. Nel 2005 Saray e Gulec hanno valutato l’efficacia della bleomicina su 15 cheloidi, utilizzando iniezioni intralesionali di 0.1 ml di farmaco per ogni lesione, ottenendo un appiattimento completo in oltre il 70% dei casi, un appiattimento elevato nel 7%, un appiattimento significativo nel 13%, e un appiattimento moderato nel 7%. Infine nel 2006, Naeini e collaboratori hanno utilizzato punture multiple con ago da 25-gauge di 2ml/cm2 di bleomicina ottenendo una regressione nel 88% dei casi di pazienti con cheloidi la cui superficie fosse inferiore a 100 mm2. Tra gli effetti collaterali della bleomicina ci sono l’iperpigmentazione, fenomeno di Raynaud, fibrosi, gangrena, alopecia, alterazioni delle unghie e ulcerazioni minori.
L’interferone è una citochina con effetto antifibrotico, antivirale e antiprolifertativo che diminuisce la sintesi di collagene 1 e collagene 3; il suo utilizzo inralesionale ha portato alla riduzione delle dimensioni dei cheloidi di oltre il 50%. Il dosaggio raccomandato è di 1.000.000 UI/cm2 da eseguire immediatamente subito dopo il trattamento chirurgico e una settimana successiva.
Oltre al cortisone sono stati sperimentati con successo altri farmaci tra cui la mitomicina, noto antimetabolita, che viene applicato sulla ferita aperta per un tempo variabile da 3 a 5 minuti (0.4 mg/ml), ha diminuito in modo significativo il tasso di recidiva.
Tra i farmaci l’ultimo che si è dimostrato efficace è il verapamil, noto farmaco anti ipertensivo, appartenente alla famiglia dei calcio antagonisti, che diminuisce la sintesi proteica delle fibre collagene, glicosamminoglicani e fibronectina, oltre a ridurre la concentrazione di interleuchina 6. Anche in questo caso numerosi studi ne hanno dimostrato l’efficacia e viene ritenuto un trattamento microinvasivo del tutto sovrapponibile all’iniezione inralesione di cortisonici.
Anche la crioterapia si è dimostrata efficace nella terapia dei cheloidi, sia utilizzato in modo singolo che in combinazione al cortisone; recentemente è stata introdotta la crioterapia intralesionale con microaghi con lo scopo di congelare il tessuto cicatriziale interno del cheloide, ottenendo un riallineamento parallelo delle fibre collagene. Numerosi studi hanno dimostrato una risposta positiva al trattamento per percentuali variabili dal 50% al 70%, con un tasso di non risposta del 3%.
Infine tra i numerosissimi laser in commercio quello più efficacie è stato provato essere il PDL (Pulsed-dye laser), laser non ablativo che riduce l’azione del TGF beta1; poiché il laser ha scarsa capacità di penetrazione nei tessuti, limitata a solo 1 mm, ha scarsa efficacia in cheloidi molto spessi, per i quali è necessario effettuare un trattamento simultaneo anche con cortisonici e chemioterapici. Il meccanismo d’azione del PDL non è chiaro, ma sembra che distruggendo il microcircolo porti ad uno stato locale d’ipossia, cioè d’assenza d’ossigeno, a seguito del quale i fibroblasti vadano incontro a morte cellulare con conseguente diminuzione della neocollagenesi e riallineamento delle fibre collagene residue parallelamente alla pelle. Il trattamento dei cheloidi con pulsed-dye laser è molto efficace tanto più precocemente viene iniziato, rimanendo raccomandato iniziare entro 12 mesi dall’intervento, utilizzando una fluenza compresa tra 3 e 7 J/cm2 da ripetere ogni 6-8 settimane.

Trattamenti chirurgici efficaci per i cheloidi

Il trattamento chirurgico standard delle cicatrici cheloidee è gravato da un elevato tasso di recidiva e ha da sempre dato risultati insoddisfacenti. Dopo i primi tentativi di semplice exeresi e sutura, descritti da Druit nel 1844 e successivamente da Dacosta nel 1903, la scienza si è rivolta a trattamenti combinati di chirurgia e altre terapie complementari. La prima combinazione efficace che è stata descritta prevede l’abbinamento dell’exeresi intralesionale cioè contenuta all’interno dei confini clinici del cheloide, seguita da successiva terapia compressiva esterna, ottenuta mediante apposite fasce di contenzione costruite custom-made al fine di contrastare il processo di guarigione esuberante. La terapia compressiva dopo intervento chirurgico può durare anche fino a 10-12 mesi. Si tratta di una modalità di trattamento tutt’oggi in uso presso i centri grandi ustionati italiani e che ha una risposta positiva nella quasi totalità dei pazienti. Nei casi in cui la terapia compressiva non sia sufficiente o comunque l’area anatomica non sia comprimibile (orecchio, ascella, spalle ecc) allora si procede con l’iniezione intralesione di farmaci cortisonici ad elevato dosaggio. Dal momento che il cheloide è una patologia benigna del processo di guarigione che non porta solo esiti estetici invalidanti ma anche disturbi funzionali non trascurabili potrebbe essere necessario l’intervento chirurgico.
A tal riguardo è di recente acquisizione l’utilizzo dei sostituti dermici che hanno dimostrato una notevole efficacia nel prevenire e contrastare le possibili recidive. Uno dei più utilizzati sostituti dermici è quello che si chiama Integra, completamente biodegradabile, che si integra perfettamente nel tessuto dell’ospite e viene successivamente rimpiazzato da tessuto autologo. Questo sostituto dermico è stato approvato dagli organi competenti americani ed europei nel 1996 ed è sostituito da una matrice porosa fi fibre collagene bovine, unite assieme dal cross-link, che contiene glicosamminoglicani derivanti dalla cartilagine di squalo. La matrice è stata progettata in modo tale che i pori siano di dimensioni comprese tra 20 e 60 micron in modo tale da favorire la crescita e l’adesione cellulare dei fibroblasti e delle cellule endoteliali che producono collagene endogeno che rimpiazzerà la matrice artificiale in un tempo variabile da 3 a 6 settimane. La matrice rimane ben protetta dagli agenti esterni grazie a un sottile foglio si silicone trasparente che viene rimosso subito dopo ‘integrazione e quindi sostituito con un innesto cutaneo a spessore sottile prelavato da zone nascoste del corpo e che ha la funzione di ricostruire l’epidermide in quella zona del corpo. Si tratta quindi di un intervento chirurgico da eseguire in due fasi a distanza di 3-4 settimane e che ha una buona percentuale di successo ma rimane riservato a cheloidi di medie e grandi dimensioni. L’intervento di ricostruzione ha recentemente subito delle innovazioni consistenti principalmente nell’anticipare l’intervento d’innesto cutaneo al momento del primo intervento chirurgico, eseguendo quindi una procedura one-step, con minor costi e risultati del tutto sovrapponibili.

Direzioni future nel trattamento dei cheloidi

Ci sono numerose altre modalità di trattamento per i cheloidi che sono sotto studio, molte delle quali proprio sulle prime fasi di sperimentazione ma che potrebbero rappresentare presto delle ulteriori terapie efficaci e innovative. Tra queste meritano menzione l’interleuchina 10, una citochina che riduce la risposta infiammatoria dell’organismo inibendo due importanti leuchine proinfiammatorie come interleuchina 6 e interleuchina 8. Uno studio sperimentale condotto su modello animale ha mostrato come l’iniezione di interleuchina 10, eseguita 48 ore prima dell’intervento chirurgico, abbia portato all’abbassamento della risposta infiammatoria rispetto al controllo; a tre settimane le cicatrici dei modelli animali trattate preventivamente con interluechina 10 hanno mostrato un’architettura dermica normale e senza deposizione di fibre collagene.
Altro farmaco in via di sperimentazione per il trattamento dei cheloidi è la tossina botulina, ad oggi ampiamente utilizzata per trattamenti estetici del terzo superiore del volto, per l’ipertrofia masseterina, per l’iperidrosi ascellare, palmare e plantare, ma anche per la cura del torcicollo spatico e dell’emicrania. La tossina botulinica è una proteina che provoca il rilassamento muscolare dei muscoli striati, inibendo l’acetilcolinesterasi alla giunzione neuromuscolare. Nel 2006 Gassner e collaboratori hanno dimostrato che le infiltrazioni di tossina botulinica intorno alla cicatrice, producevano risultati estetici superiori rispetto alle cicatrici che non erano state trattate. Uno studio successivo del 2008 ha invece dimostrato che la tossina botulinica diminuisce i livelli di TGF beta 1, che è ritenuto il principale responsabile della formazione del cheloide, essendo associato con un’eccessiva produzione di fibre collagene e tessuto connettivo fibroso. Inoltre presenta anche un effetto antalgico, cioè antidolorifico, il cui meccanismo è ancora in fase di studio, riducendo quindi la sintomatologia delle cicatrici cheloidee. Attualmente la sua principale indicazione non è curativa, come nel caso dei cortisonici, bleomicina e 5-fluorouracile, ma presenta un’azione preventiva sullo sviluppo del cheloide.

A chi rivolgersi per il trattamento dei cheloidi

Per il trattamento delle cicatrici cheloidee è raccomandato di rivolgersi a personale medico specializzato in chirurgia plastica al fine d’evitare non solo la recidiva ma anche un possibile peggioramento. Per scegliere il professionista più adeguato è possibile contattare l’Ordine dei medici della provincia di residenza al fine d’ottenere tutte le informazioni disponibili oppure consultando il sito web della Federazione Nazionale Ordine dei Medici dove è possibile reperire numerose informazioni, tra cui il voto di laurea, l’Ateneo degli studi, il superamento dell’esame d’abilitazione all’esercizio della professione di medico chirurgo, i diplomi di specializzazione e i master conseguiti. I chirurghi plastici diplomati secondo gli standard europei e quindi riconosciuti dal Ministero della Salute sono quasi sempre iscritti ad almeno una delle due società italiane di chirurgia plastica come la SIPRE (Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica) e l’AICPE (Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica). Molti professionisti possono anche vantare affiliazione a società internazionali che accolgono per statuto solamente medici diplomati secondo gli standard europei, come ASPS (American Society of Plastic Sugeons) e ISAPS (International Society of Aesthetic Plastic Surgery).

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